Archivio mensile:gennaio 2007

Pillole di saggezza

Stand up alone

Erich Fromm, nel libro “Fuga dalla libertà”, ripercorre la storia della società per spiegare quanto il processo di conquista di autonomia dell’individuo sia ostacolato dall’interno, dagli stessi esseri umani. Egli spiega che l’uomo, da sempre spinto alla ricerca della libertà da restrizioni esterne, quando si trova a doversi basare sulle proprie forze viene colto da un senso di insicurezza e di isolamento che lo spinge a cercare dei meccanismi di fuga. Si cerca così qualcosa o qualcuno a cui delegare le proprie responsabilità e si sviluppano rapporti di sottomissione o di dipendenza. Oppure si può tentare di rendere gli altri dipendenti confondendo i sentimenti di amore o benevolenza con il bisogno di dominio che nasce dalla propria instabilità interiore. A volte ci si spinge al punto di rinunciare al proprio io e si sviluppa uno “pseudo-carattere”, uno “pseudo-pensiero” e perfino degli “pseudi- sentimenti”. Spinti dal senso di dovere, dalle convenzioni o da semplici pressioni, si arriva al punto di dimenticare chi siamo, e cosa vogliamo veramente. “Le illusioni su se stessi possono diventare stampelle utili a coloro che non sono in grado di camminare da soli; ma aumentano certamente la debolezza della persona. Quanto maggiore è l’integrazione della personalità dell’individuo, e quanto maggiore è quindi la sua limpidezza verso se stesso, tanto più grande è la sua forza”.
Se non ci si aspetta niente dagli altri è più facile perseverare, altrimenti, se siamo spinti dal bisogno di approvazione, basterà che ci venga negata per crollare. Se invece possiamo “stare in piedi da soli” non abbiamo bisogno di alcun consenso esterno, non siamo spinti a conformarci per sentirci più sicuri”.
(fonte NR 364)

Pillole di saggezza

Stand up alone

Erich Fromm, nel libro “Fuga dalla libertà”, ripercorre la storia della società per spiegare quanto il processo di conquista di autonomia dell’individuo sia ostacolato dall’interno, dagli stessi esseri umani. Egli spiega che l’uomo, da sempre spinto alla ricerca della libertà da restrizioni esterne, quando si trova a doversi basare sulle proprie forze viene colto da un senso di insicurezza e di isolamento che lo spinge a cercare dei meccanismi di fuga. Si cerca così qualcosa o qualcuno a cui delegare le proprie responsabilità e si sviluppano rapporti di sottomissione o di dipendenza. Oppure si può tentare di rendere gli altri dipendenti confondendo i sentimenti di amore o benevolenza con il bisogno di dominio che nasce dalla propria instabilità interiore. A volte ci si spinge al punto di rinunciare al proprio io e si sviluppa uno “pseudo-carattere”, uno “pseudo-pensiero” e perfino degli “pseudi- sentimenti”. Spinti dal senso di dovere, dalle convenzioni o da semplici pressioni, si arriva al punto di dimenticare chi siamo, e cosa vogliamo veramente. “Le illusioni su se stessi possono diventare stampelle utili a coloro che non sono in grado di camminare da soli; ma aumentano certamente la debolezza della persona. Quanto maggiore è l’integrazione della personalità dell’individuo, e quanto maggiore è quindi la sua limpidezza verso se stesso, tanto più grande è la sua forza”.
Se non ci si aspetta niente dagli altri è più facile perseverare, altrimenti, se siamo spinti dal bisogno di approvazione, basterà che ci venga negata per crollare. Se invece possiamo “stare in piedi da soli” non abbiamo bisogno di alcun consenso esterno, non siamo spinti a conformarci per sentirci più sicuri”.
(fonte NR 364)

Pillole di saggezza

Stand up alone

Erich Fromm, nel libro “Fuga dalla libertà”, ripercorre la storia della società per spiegare quanto il processo di conquista di autonomia dell’individuo sia ostacolato dall’interno, dagli stessi esseri umani. Egli spiega che l’uomo, da sempre spinto alla ricerca della libertà da restrizioni esterne, quando si trova a doversi basare sulle proprie forze viene colto da un senso di insicurezza e di isolamento che lo spinge a cercare dei meccanismi di fuga. Si cerca così qualcosa o qualcuno a cui delegare le proprie responsabilità e si sviluppano rapporti di sottomissione o di dipendenza. Oppure si può tentare di rendere gli altri dipendenti confondendo i sentimenti di amore o benevolenza con il bisogno di dominio che nasce dalla propria instabilità interiore. A volte ci si spinge al punto di rinunciare al proprio io e si sviluppa uno “pseudo-carattere”, uno “pseudo-pensiero” e perfino degli “pseudi- sentimenti”. Spinti dal senso di dovere, dalle convenzioni o da semplici pressioni, si arriva al punto di dimenticare chi siamo, e cosa vogliamo veramente. “Le illusioni su se stessi possono diventare stampelle utili a coloro che non sono in grado di camminare da soli; ma aumentano certamente la debolezza della persona. Quanto maggiore è l’integrazione della personalità dell’individuo, e quanto maggiore è quindi la sua limpidezza verso se stesso, tanto più grande è la sua forza”.
Se non ci si aspetta niente dagli altri è più facile perseverare, altrimenti, se siamo spinti dal bisogno di approvazione, basterà che ci venga negata per crollare. Se invece possiamo “stare in piedi da soli” non abbiamo bisogno di alcun consenso esterno, non siamo spinti a conformarci per sentirci più sicuri”.
(fonte NR 364)

Pillole di saggezza

Stand up alone

Erich Fromm, nel libro “Fuga dalla libertà”, ripercorre la storia della società per spiegare quanto il processo di conquista di autonomia dell’individuo sia ostacolato dall’interno, dagli stessi esseri umani. Egli spiega che l’uomo, da sempre spinto alla ricerca della libertà da restrizioni esterne, quando si trova a doversi basare sulle proprie forze viene colto da un senso di insicurezza e di isolamento che lo spinge a cercare dei meccanismi di fuga. Si cerca così qualcosa o qualcuno a cui delegare le proprie responsabilità e si sviluppano rapporti di sottomissione o di dipendenza. Oppure si può tentare di rendere gli altri dipendenti confondendo i sentimenti di amore o benevolenza con il bisogno di dominio che nasce dalla propria instabilità interiore. A volte ci si spinge al punto di rinunciare al proprio io e si sviluppa uno “pseudo-carattere”, uno “pseudo-pensiero” e perfino degli “pseudi- sentimenti”. Spinti dal senso di dovere, dalle convenzioni o da semplici pressioni, si arriva al punto di dimenticare chi siamo, e cosa vogliamo veramente. “Le illusioni su se stessi possono diventare stampelle utili a coloro che non sono in grado di camminare da soli; ma aumentano certamente la debolezza della persona. Quanto maggiore è l’integrazione della personalità dell’individuo, e quanto maggiore è quindi la sua limpidezza verso se stesso, tanto più grande è la sua forza”.
Se non ci si aspetta niente dagli altri è più facile perseverare, altrimenti, se siamo spinti dal bisogno di approvazione, basterà che ci venga negata per crollare. Se invece possiamo “stare in piedi da soli” non abbiamo bisogno di alcun consenso esterno, non siamo spinti a conformarci per sentirci più sicuri”.
(fonte NR 364)

Ali Farka Toure & Ry Cooder – Talking Timbuktu (1994)

Un blues dal cuore della terra.

Nel 1994 con la collaborazione di Ry Cooder grande “musa” musicale di tutti i tempi, esce questo Talking Timbuktu, e naturalmente come è immaginabile, per essere stato inserito tra i miei dischi preferiti, rimango deliziato.

La cosa che viene subito alla luce è l’equilibrio che nasce dalla combinazione di due “mondi” diversi. Dove per mondi si intende non solo le provenienze naturali dei due musicisti, ma anche la loro diversità di esperienze, culture, vite e suoni.

Il disco composto da dieci brani, crea un’atmosfera semplicemente magica e nota dopo nota avviene questo scambio sonoro. Qualunque sia lo strumento in evidenza, si ha modo di “respirare” la musica in una maniera lenta e profonda.

Il terreno dove avviene questo scambio sonoro è il blues. E se pur non suonato con i soliti strumenti, la venatura malinconica rimane in evidenza. C’è un qualcosa che traspare dal disco che ricorda una ciclicità: l’amaro e il dolce, gli spazi brevi e ampi, il giorno e la notte, la terra e il mare. Ma quale mare? Il Mali non ha nessun sbocco al mare.

Ed è questa una delle tante magie che la musica di questo disco riesce nella sua semplicità a generare. L’immaginare l’immaginabile.

Ancora una volta Cooder dimostra di saper entrare in sintonia con lo spirito della musica e dei musicisti che lo accompagnano in ogni sua avventura sonora, senza mai prevaricare, ma con un equilibrio perfetto, riuscendo così a farci conoscere sempre nuove “menti” musicali, regalandoci in questo caso una musica proveniente da un luogo situato alla fine del mondo. Ma con le radici affondate proprio al centro del suo cuore.

4,5/5

Ali Farka Toure & Ry Cooder – Talking Timbuktu (1994)

Un blues dal cuore della terra.

Non conoscevo molto A.F.T. se non che provenisse dal Mali, forse la terra Africana che offre di più, e buona musica, di tutto il Continente nero.
Nel 1994 con la collaborazione di Ry Cooder grande “musa” musicale di tutti i tempi (più avanti verrà postato un articolo su di lui su “segni sonori”) esce questo Talking Timbuktu, e naturalmente come è immaginabile, per essere stato inserito tra i miei dischi preferiti, rimango deliziato.

La cosa che viene subito alla luce è l’equilibrio che nasce dalla combinazione di due “mondi” diversi. Dove per mondi si intende non solo le provenienze naturali dei due musicisti, ma anche la loro diversità di esperienze, culture, vite e suoni.

Il disco composto da dieci brani, crea un’atmosfera semplicemente magica e nota dopo nota avviene questo scambio sonoro. Qualunque sia lo strumento in evidenza, si ha modo di “respirare” la musica in una maniera lenta e profonda.
Il terreno dove avviene questo scambio sonoro è il blues. E se pur non suonato con i soliti strumenti, la venatura malinconica rimane in evidenza. C’è un qualcosa che traspare dal disco che ricorda una ciclicità: l’amaro e il dolce, gli spazi brevi e ampi, il giorno e la notte, la terra e il mare. Ma quale mare? Il Mali non ha nessun sbocco al mare.

Ed è questa una delle tante magie che la musica di questo disco riesce nella sua semplicità a generare. L’immaginare l’immaginabile.

Ancora una volta Cooder dimostra di saper entrare in sintonia con lo spirito della musica e dei musicisti che lo accompagnano in ogni sua avventura sonora, senza mai prevaricare, ma con un equilibrio perfetto, riuscendo così a farci conoscere sempre nuove “menti” musicali, regalandoci in questo caso una musica proveniente da un luogo situato alla fine del mondo. Ma con le radici affondate proprio al centro del suo cuore.

4,5/5

Ali Farka Toure & Ry Cooder – Talking Timbuktu (1994)

Un blues dal cuore della terra.

Non conoscevo molto A.F.T. se non che provenisse dal Mali, forse la terra Africana che offre di più, e buona musica, di tutto il Continente nero.
Nel 1994 con la collaborazione di Ry Cooder grande “musa” musicale di tutti i tempi (più avanti verrà postato un articolo su di lui su “segni sonori”) esce questo Talking Timbuktu, e naturalmente come è immaginabile, per essere stato inserito tra i miei dischi preferiti, rimango deliziato.

La cosa che viene subito alla luce è l’equilibrio che nasce dalla combinazione di due “mondi” diversi. Dove per mondi si intende non solo le provenienze naturali dei due musicisti, ma anche la loro diversità di esperienze, culture, vite e suoni.

Il disco composto da dieci brani, crea un’atmosfera semplicemente magica e nota dopo nota avviene questo scambio sonoro. Qualunque sia lo strumento in evidenza, si ha modo di “respirare” la musica in una maniera lenta e profonda.
Il terreno dove avviene questo scambio sonoro è il blues. E se pur non suonato con i soliti strumenti, la venatura malinconica rimane in evidenza. C’è un qualcosa che traspare dal disco che ricorda una ciclicità: l’amaro e il dolce, gli spazi brevi e ampi, il giorno e la notte, la terra e il mare. Ma quale mare? Il Mali non ha nessun sbocco al mare.

Ed è questa una delle tante magie che la musica di questo disco riesce nella sua semplicità a generare. L’immaginare l’immaginabile.

Ancora una volta Cooder dimostra di saper entrare in sintonia con lo spirito della musica e dei musicisti che lo accompagnano in ogni sua avventura sonora, senza mai prevaricare, ma con un equilibrio perfetto, riuscendo così a farci conoscere sempre nuove “menti” musicali, regalandoci in questo caso una musica proveniente da un luogo situato alla fine del mondo. Ma con le radici affondate proprio al centro del suo cuore.

4,5/5

Ali Farka Toure & Ry Cooder – Talking Timbuktu (1994)

Un blues dal cuore della terra.

Non conoscevo molto A.F.T. se non che provenisse dal Mali, forse la terra Africana che offre di più, e buona musica, di tutto il Continente nero.
Nel 1994 con la collaborazione di Ry Cooder grande “musa” musicale di tutti i tempi (più avanti verrà postato un articolo su di lui su “segni sonori”) esce questo Talking Timbuktu, e naturalmente come è immaginabile, per essere stato inserito tra i miei dischi preferiti, rimango deliziato.

La cosa che viene subito alla luce è l’equilibrio che nasce dalla combinazione di due “mondi” diversi. Dove per mondi si intende non solo le provenienze naturali dei due musicisti, ma anche la loro diversità di esperienze, culture, vite e suoni.

Il disco composto da dieci brani, crea un’atmosfera semplicemente magica e nota dopo nota avviene questo scambio sonoro. Qualunque sia lo strumento in evidenza, si ha modo di “respirare” la musica in una maniera lenta e profonda.
Il terreno dove avviene questo scambio sonoro è il blues. E se pur non suonato con i soliti strumenti, la venatura malinconica rimane in evidenza. C’è un qualcosa che traspare dal disco che ricorda una ciclicità: l’amaro e il dolce, gli spazi brevi e ampi, il giorno e la notte, la terra e il mare. Ma quale mare? Il Mali non ha nessun sbocco al mare.

Ed è questa una delle tante magie che la musica di questo disco riesce nella sua semplicità a generare. L’immaginare l’immaginabile.

Ancora una volta Cooder dimostra di saper entrare in sintonia con lo spirito della musica e dei musicisti che lo accompagnano in ogni sua avventura sonora, senza mai prevaricare, ma con un equilibrio perfetto, riuscendo così a farci conoscere sempre nuove “menti” musicali, regalandoci in questo caso una musica proveniente da un luogo situato alla fine del mondo. Ma con le radici affondate proprio al centro del suo cuore.

4,5/5

Cenni sul Buddismo

(di Nichiren) Parte seconda

Come liberare piano piano questa buddità, questa forza illuminante che tutti noi, indistintamente possediamo? È più semplice di quanto si pensi, basta recitare una frase, un mantra, che sarebbe NAM MYOHO RENGE KYO. Si pronuncia nam mio ho renghe chiò e questa è una formula essenziale che racchiude il ritmo dell’universo, la misteriosa energia che è alla base di tutti i fenomeni. Recitare più e più volte Nam myoho renge kyo ci mette in comunicazione con l’armonia dell’universo, è un suono che fa vibrare una corda nascosta dentro di noi e sprigiona, appunto, poco alla volta la buddità.
Il significato di questa antichissima parola è troppo profondo e complesso perché si possa spiegare in due righe, comunque, a grandi linee, si può interpretare come “mi dedico alla Legge dell’Universo attraverso il suono”. Ecco perché, in fondo, il buddismo non è in contraddizione con altre religioni, infatti spiega come questa Legge dell’Universo o Legge Mistica regoli l’esistenza di tutti gli esseri viventi, così come altre dottrine credono che sia regolata da un Essere Superiore. La sostanza è poi la stessa, soltanto che il buddismo insegna ad attingere forza dentro noi stessi e non rivolgendosi ai santi o ad un Essere Superiore. Il buddismo è azione e non passività, pregare stando ad aspettare che qualcun altro risolva i nostri problemi. Recitare Nam myoho renge kyo è sprigionare la nostra forza interna per affrontare da soli le nostre difficoltà.
È difficile credere che la recitazione di una frase “misteriosa” possa influenzare l’esistenza, aiutare a risolvere i problemi.
Spesso però l’approccio razionale trae in inganno: secondo la nostra cultura occidentale, tendiamo a pensare che una cosa non esista (o non abbia un effetto concreto si di noi) solo perché non riusciamo a vederla o comprenderla razionalmente.
Eppure la vita di tutti i giorni è piena di esempi che smentiscono questo.
Una calamita attrae il metallo anche se non vediamo il campo magnetico che la circonda e non conosciamo le leggi del magnetismo. E sappiamo perché una musica (che altro non è che una vibrazione) ci dà gioia, mentre un’altra ci rattrista? Il fatto è che recitare Nam myoho renge kyo funziona, che ci si creda o meno, che si sappia o no il significato, proprio perché va al di là della convinzione mentale. Agisce a livelli più profondi, attiva energie universali, che giacciono da tempi remoti sopite dentro di noi. Alla prossima!

Cenni sul Buddismo

(di Nichiren) Parte seconda

Come liberare piano piano questa buddità, questa forza illuminante che tutti noi, indistintamente possediamo? È più semplice di quanto si pensi, basta recitare una frase, un mantra, che sarebbe NAM MYOHO RENGE KYO. Si pronuncia nam mio ho renghe chiò e questa è una formula essenziale che racchiude il ritmo dell’universo, la misteriosa energia che è alla base di tutti i fenomeni. Recitare più e più volte Nam myoho renge kyo ci mette in comunicazione con l’armonia dell’universo, è un suono che fa vibrare una corda nascosta dentro di noi e sprigiona, appunto, poco alla volta la buddità.
Il significato di questa antichissima parola è troppo profondo e complesso perché si possa spiegare in due righe, comunque, a grandi linee, si può interpretare come “mi dedico alla Legge dell’Universo attraverso il suono”. Ecco perché, in fondo, il buddismo non è in contraddizione con altre religioni, infatti spiega come questa Legge dell’Universo o Legge Mistica regoli l’esistenza di tutti gli esseri viventi, così come altre dottrine credono che sia regolata da un Essere Superiore. La sostanza è poi la stessa, soltanto che il buddismo insegna ad attingere forza dentro noi stessi e non rivolgendosi ai santi o ad un Essere Superiore. Il buddismo è azione e non passività, pregare stando ad aspettare che qualcun altro risolva i nostri problemi. Recitare Nam myoho renge kyo è sprigionare la nostra forza interna per affrontare da soli le nostre difficoltà.
È difficile credere che la recitazione di una frase “misteriosa” possa influenzare l’esistenza, aiutare a risolvere i problemi.
Spesso però l’approccio razionale trae in inganno: secondo la nostra cultura occidentale, tendiamo a pensare che una cosa non esista (o non abbia un effetto concreto si di noi) solo perché non riusciamo a vederla o comprenderla razionalmente.
Eppure la vita di tutti i giorni è piena di esempi che smentiscono questo.
Una calamita attrae il metallo anche se non vediamo il campo magnetico che la circonda e non conosciamo le leggi del magnetismo. E sappiamo perché una musica (che altro non è che una vibrazione) ci dà gioia, mentre un’altra ci rattrista? Il fatto è che recitare Nam myoho renge kyo funziona, che ci si creda o meno, che si sappia o no il significato, proprio perché va al di là della convinzione mentale. Agisce a livelli più profondi, attiva energie universali, che giacciono da tempi remoti sopite dentro di noi. Alla prossima!

Descrizione blog (musica)

Perché la musica?
Non esiste secondo me, un “linguaggio” così stimolante, così produttore di idee come quello musicale. Il suono, il ritmo, la melodia, l’armonia, il sound sono, ben prima di essere espressioni di sistemi musicali più o meno strutturati, una fonte inesauribile di stupori, di desideri, di passioni. La musica quindi stimola la creatività, stimola l’attività. La musica si fa condurre, si fa tirar fuori, si lascia coltivare, si lascia sbocciare. La musica è suono, è movimento, è corpo, la musica è parola, è memoria, è comprensione, è il fiume in piena delle sensazioni che compongono la nostra esistenza.
Al contrario di un blog-come-si-deve, questa descrizione andava fatta appena aperto questo blog, ma si sa anche i gamberi hanno diritto di esistere … O della serie meglio tardi che mai.
Devo anche premettere, che io non so scrivere di musica, non sono ne scrittore, ne critico, ne musicista. Sono solo un appassionato, solo un ascoltatore attento di vibrazioni sonore.
Questo mio essere mi spinge a credere di poter tirar fuori parole, frasi, discorsi, racconti, storie, avventure, poesie che si trovano in mezzo a queste vibrazioni.
La mia è solo presunzione lo so, ma è pur sempre una sfida che desidero condividere.

Descrizione blog (musica)

Perché la musica?
Non esiste secondo me, un “linguaggio” così stimolante, così produttore di idee come quello musicale. Il suono, il ritmo, la melodia, l’armonia, il sound sono, ben prima di essere espressioni di sistemi musicali più o meno strutturati, una fonte inesauribile di stupori, di desideri, di passioni. La musica quindi stimola la creatività, stimola l’attività. La musica si fa condurre, si fa tirar fuori, si lascia coltivare, si lascia sbocciare. La musica è suono, è movimento, è corpo, la musica è parola, è memoria, è comprensione, è il fiume in piena delle sensazioni che compongono la nostra esistenza.
Al contrario di un blog-come-si-deve, questa descrizione andava fatta appena aperto questo blog, ma si sa anche i gamberi hanno diritto di esistere … O della serie meglio tardi che mai.
Devo anche premettere, che io non so scrivere di musica, non sono ne scrittore, ne critico, ne musicista. Sono solo un appassionato, solo un ascoltatore attento di vibrazioni sonore.
Questo mio essere mi spinge a credere di poter tirar fuori parole, frasi, discorsi, racconti, storie, avventure, poesie che si trovano in mezzo a queste vibrazioni.
La mia è solo presunzione lo so, ma è pur sempre una sfida che desidero condividere.

Descrizione blog (musica)

Perché la musica?
Non esiste secondo me, un “linguaggio” così stimolante, così produttore di idee come quello musicale. Il suono, il ritmo, la melodia, l’armonia, il sound sono, ben prima di essere espressioni di sistemi musicali più o meno strutturati, una fonte inesauribile di stupori, di desideri, di passioni. La musica quindi stimola la creatività, stimola l’attività. La musica si fa condurre, si fa tirar fuori, si lascia coltivare, si lascia sbocciare. La musica è suono, è movimento, è corpo, la musica è parola, è memoria, è comprensione, è il fiume in piena delle sensazioni che compongono la nostra esistenza.
Al contrario di un blog-come-si-deve, questa descrizione andava fatta appena aperto questo blog, ma si sa anche i gamberi hanno diritto di esistere … O della serie meglio tardi che mai.
Devo anche premettere, che io non so scrivere di musica, non sono ne scrittore, ne critico, ne musicista. Sono solo un appassionato, solo un ascoltatore attento di vibrazioni sonore.
Questo mio essere mi spinge a credere di poter tirar fuori parole, frasi, discorsi, racconti, storie, avventure, poesie che si trovano in mezzo a queste vibrazioni.
La mia è solo presunzione lo so, ma è pur sempre una sfida che desidero condividere.

Descrizione blog (musica)

Perché la musica?
Non esiste secondo me, un “linguaggio” così stimolante, così produttore di idee come quello musicale. Il suono, il ritmo, la melodia, l’armonia, il sound sono, ben prima di essere espressioni di sistemi musicali più o meno strutturati, una fonte inesauribile di stupori, di desideri, di passioni. La musica quindi stimola la creatività, stimola l’attività. La musica si fa condurre, si fa tirar fuori, si lascia coltivare, si lascia sbocciare. La musica è suono, è movimento, è corpo, la musica è parola, è memoria, è comprensione, è il fiume in piena delle sensazioni che compongono la nostra esistenza.
Al contrario di un blog-come-si-deve, questa descrizione andava fatta appena aperto questo blog, ma si sa anche i gamberi hanno diritto di esistere … O della serie meglio tardi che mai.
Devo anche premettere, che io non so scrivere di musica, non sono ne scrittore, ne critico, ne musicista. Sono solo un appassionato, solo un ascoltatore attento di vibrazioni sonore.
Questo mio essere mi spinge a credere di poter tirar fuori parole, frasi, discorsi, racconti, storie, avventure, poesie che si trovano in mezzo a queste vibrazioni.
La mia è solo presunzione lo so, ma è pur sempre una sfida che desidero condividere.

M’illumino di meno/2

Ecco, questo è il verbale dell’assemblea familiare, oggetto:
“Impegno per la giornata del risparmio energetico del 16 febbraio 2007”

L’assemblea familiare composta da tre membri: due genitori e una figlia ha così deliberato:

In casa. nessun utilizzo di : p.c. fisso – p.c. portatile – lavastoviglie – stereo musicale e multimediali – phon – televisione – tutte le luci non effettivamente necessarie.
Nella mia attività lavorativa: meno 30% di luci accese.

Nonostante la contrarietà della figlia nel tenere il portatile e la televisione spenti, l’assemblea verificatosi la maggioranza dei 2/3: APPROVA