Archivio mensile:luglio 2010

Niccolò Tommaseo

il sabato poesia La poesia

Non la raggiante immagine
Non la riposta idea,
Non l’armonia de’ numeri,
Non l’amor che crea

Idea, concento, immagine,
Aura d’amor fecondo,
Formansi in uno, e n’escono
Il verso, il fiore, il mondo.

Anne McAulay, emozioni urbane

Anne McAulay è nata a Londra e residente a Parigi. Il suo sguardo fotografico è attratto dagli scorci metropolitani, le sue immagini quindi, sono spesso in “movimento”. Il suo è un diario di vita quotidiana, strade, persone di giorno e di notte, silenzi e rumori, situazioni urbane a colori e in bianco e nero. Le sue sono emozioni viste e anche vissute e la macchina fotografica e lo strumento per ricordarle.

First Day of My Life – Bright Eyes – deepsong #11

http://www.youtube.com/v/o5rhhQbyYV0&hl=it_IT&fs=1

Il Primo Giorno Della Mia Vita

Questo è il primo giorno della mia vita
giuro che sono nato proprio sull’uscio della porta
sono uscito sotto la pioggia, improvvisamente tutto è cambiato
stavano portando coperte sulla spiaggia

La tua è stata la prima faccia che ho visto
penso che ero cieco prima di incontrarti
non so dove sono, non so dove sono stato
ma so dove voglio andare

Così ho pensato dovevo farti sapere
che queste cose restano per sempre, io sono particolarmente lento
ma ho capito quanto ho bisogno di te
e mi sono chiesto se potessi venire a casa

Ti ricordi quella volta che hai guidato tutta notte
solo per incontrarmi la mattina?
E ho pensato che era strano, tu hai detto che tutto era cambiato
ti sei sentita come se ti fossi appena svegliata

E hai detto
“Questo è il primo giorno della mia vita
felice di non essere morta prima di incontrarti
ora non mi preoccupo, potrei andare ovunque con te
e probabilmente sarei felice”

Così se tu vuoi stare con me
con queste cose non c’è nulla da dire
noi dobbiamo solo aspettare e vedere
ma preferirei star lavorando per uno stipendio
che aspettando di vincere la lotteria

D’altronde, forse questa volta è diversa
Intendo dire, penso davvero che io ti piaccia

Karl Popper

agenda letteraria il 28 luglio 1902 nasce a Vienna il filosofo ed epistemiologo britannico di origine austriaca Karl Popper

Nessun libro può essere veramente compiuto. Mentre
vi lavoriamo sopra, impariamo abbastanza da
trovarlo immaturo nel momento in cui ce ne distacchiamo.
(La società aperta e i suoi nemici)

Julien Gracq

agenda letteraria il 27 luglio del 1910 nasce a Saint-Florent-le-Vieil Julien Gracq

Quando penso ai miei anni da studente, mi rallegro ancora
della fortuna che mi fece scegliere una
disciplina ancora allo stato nascente, come era allora la
geografia, mentre i miei compagni si affollavano nelle strade
senza imprevisti e senza
orizzonti dell’epigrafia latina o dell’archeologia greca.
(Carnet du grand chemin)

Laurie Anderson – Strange Angels (1989)

Laurie Anderson è tra le mie preferite, non è un segreto.
Strange Angels fu fonte generosa di mille sorprese che, alcuni delusero ed altri fecero saltare di gioia. Ma cosa combinò la nostra per suscitare reazioni così contrastanti? Semplice: si è ingeniata a costruire dieci meravigliose canzoni (pop)olari. Chi ha storto il naso ascoltando “Language is a virus” farà meglio a tapparsi ora i canali auricolari: non più il gelido (splendido) esotismo tecnologico di “Mr Heartbreak”, ma un linguaggio sonoro diverso, più caldo, immediato, che parla in egual misura all’intelligenza e al cuore. Nessun taglio netto con il passato: la Anderson di oggi (1989) è la stessa di sempre, solo discorre con maggior semplicità, con dolcezza e malinconia. Accarezza le tradizioni musicali del centro e del sud America, le culla con sguardo ironico (ma non cinico), le riveste d’eleganza europea e ce le porge cantando con grazie inaudita. Si Laurie canta e lo fa divinamente, abbandonandosi senza freni ad un’ondata melodica irresistibile. La voce di Laurie Anderson passeggia tranquilla, si innalza ad acuti improvvisi, si trasforma con la stessa plastica duttilità di Kate Bush, rincorre suggestioni esplicitamente pop, si insinua tra cori gospel, tra ballate caraibiche con tanto di slide guitar, saltella tra le note squillanti dei fiati, rimbalza su morbidi e armonicissimi tappeti di tastiere, per poi riposare all’ombra del canto suadente della fisarmonica.
Un disco tranquillo e sereno, che rilega nell’angolo dissonanze e squilibri tonali, senza rinunciare ad essere acuto, lucido, penetrante, convincente. E’ una Laurie Anderson musicalmente terrena, priva di intellettualismi compiaciuti, un’artista che si impadronisce del pop, lo raffina, lo purifica ma non lo raffredda in glaciali schematismi.
Non si parli allora di commercialità; si dica piuttosto della genialità, della sincerità, del divertito candore con cui Laurie Anderson ha creato il suo ennesimo capolavoro. 4,5/5

Frantz Fanon

agenda letteraria il 25 luglio del 1925 nasce a Fort-de-France lo scrittore martinicano di lingua francese Frantz Fanon

Il colonizzato scopre che la sua vita,
il suo respiro, i battiti del suo cuore
sono gli stessi di quelli del colono
Scopre che una pelle di colono
non vale più della pelle
di un indigeno.
E’ facile immaginare come
questa scoperta introduca
una scossa essenziale nel mondo.

(I dannati della terra)

Hans Magnus Enzensberger

il sabato poesia Indovinello

Un mare più vasto del mare
e tu non lo vedi.

Un mare nel quale vai nuotando
e tu non te ne accorgi.

Un mare che rumoreggia nel tuo petto
e tu non lo senti.

Un mare in cui te ne stai immerso
e tu non ti bagni.

Un mare da cui bevi
e tu non lo noti.

Un mare in cui vivi
finché non ti mettono sotterra.

Dare un nome al futuro: sviluppo o decrescita?

Incontro all’Università di Firenze con *Serge Latouche
di Wilma Massucco

Chiudiamo gli occhi per trenta secondi e pensiamo alle tre cose che augureremmo ai nostri figli o ai nostri nipoti o ai nostri migliori amici. Credo che la maggioranza di noi, almeno così risulta dalle statistiche, abbia pensato a una buona salute, un lavoro dignitoso e pieno di soddisfazioni, un sacco di amici, una vita piena. Bene, se così è, chiediamoci ora in che modo questi parametri si rapportano con la crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo), cioè con la crescita di quel parametro che misura il movimento di denaro, e che fino a oggi è stato considerato dagli economisti come il principale indicatore del benessere…

Professor Latouche, cosa intende dire quando afferma che la ricchezza ha un carattere molto più patologico della povertà?

La società della crescita, la società dell’opulenza, ha tradito la sua promessa: non felicità bensì ricerca ossessiva di efficienza, prestazioni, riduzione dei costi, flessibilità, profitto. Una società e un’economia sull’orlo di una crisi di nervi, votate alla frenetica accumulazione di beni di consumo, a cui si accompagnano aumento dello stress, dell’insonnia, delle turbe psicosomatiche, delle malattie di ogni tipo (tumori, crisi cardiache, allergie varie). A seguire spese di compensazione e di riparazione (medicine, trasporti, svaghi) resi necessari da una vita moderna in cui i beni relazionali, legati cioè alla qualità delle relazioni umane, si impoveriscono sempre di più. Viviamo in una società che è stata fagocitata da un’economia che ha per unico fine la crescita, all’infinito. Si deve produrre e consumare sempre di più. Produrre per consumare e consumare per produrre. Solo che nel medesimo tempo si distruggono le risorse naturali, che sono infatti in via di esaurimento.

Perché non facciamo nulla per cambiare rotta?

Il problema è che di tutto questo non ci rendiamo conto, perché siamo stati fagocitati dalla “religione della crescita”, il nostro immaginario è stato colonizzato. Per questo motivo nel 2002 abbiamo introdotto la parola “decrescita”: è uno slogan provocatorio, quasi blasfemo per chi ha fede nella crescita, che vuole far riflettere sull’assurdità della crescita. Se vogliamo essere rigorosi dovremmo parlare di a-crescita (così come si parla di a-teismo). Precisamente si tratta di uscire dalla religione dell’economia, dall’imperialismo della crescita, per diventare degli agnostici, degli ateisti dell’economia.
Quello che dobbiamo fare innanzitutto è Rivalutare. Ovvero cambiare i valori, non solo i valori personali ma anche i valori diffusi per esempio attraverso i mezzi di comunicazione, in primis quello di fare denaro a tutti i costi, e il più velocemente possibile. Questa è l’etica pubblica del nostro tempo, purtroppo. Distruggere il pianeta il più velocemente possibile attraverso crescita, crescita, consumo, consumo. Bisogna invece cambiare il nostro rapporto con la natura. L’umanità non è padrona della natura ma fa parte della natura: dobbiamo vivere in armonia con essa invece che sfruttarla senza limiti, dobbiamo comportarci da giardinieri invece che da predatori. Il che si potrebbe assecondare per esempio attraverso la Rilocalizzazione della produzione: uno yogurt può essere prodotto impiegando il latte della fattoria del vicinato. Non si tratta di consumare meno yogurt. Si tratta di consumare yogurt fatto in altro modo. Se consumiamo a chilometri zero, allora lo sfruttamento delle risorse naturali si riduce molto (non abbiamo più bisogno di congelare il cibo, di trasportarlo per ottomila chilometri).
Dobbiamo anche valorizzare la lentezza piuttosto che l’accelerazione: quindi, ad esempio, rispetto al cibo, contrastare il Fast food con lo Slow food. Il progetto Slow food fa totalmente parte della decrescita, prodotti stagionali, di ottima qualità, più tradizionali, piuttosto che prodotti fatti male, con troppo zucchero, troppo sale, che portano all’obesità.
Si tratta di decolonizzare, dis-economicizzare il nostro immaginario, il che non si può fare con la presa del Palazzo d’Inverno di Pietrogrado. È un processo molto più complicato, è una trasformazione sociale. Siamo entrati nel capitalismo a poco a poco, non da un giorno all’altro, e sicuramente usciremo dal capitalismo, per amore o per forza, ma non lo faremo da un giorno all’altro.

Come è attuabile, in concreto, il passaggio da una società votata alla crescita a una società votata alla decrescita?

Il progetto della decrescita percorre due livelli: quello della concezione teorica e quello dell’applicazione sul piano politico. Non offre un’alternativa ma una matrice di alternative, che devono essere poi contestualizzate, di volta in volta, in funzione della realtà specifica di un certo paese. Ci sono comunque dei tratti comuni a tutte le società, che possono essere sintetizzati nel percorso di interdipendenza che ho definito delle “otto R”.1 Si tratta di cambiare valori e concetti, mutare le strutture, rilocalizzare l’economia e la vita, rivedere nel profondo i nostri modi d’uso dei prodotti, rispondere alla sfida dei paesi del Sud del mondo. Questo è il primo livello, e non basta per essere concreto. Si capisce bene che “cambiare i valori” non può essere l’oggetto di un programma politico. Il progetto, rivoluzionario nella sua concezione teorica, deve essere poi affiancato a un programma politico2 necessariamente riformista, le cui riforme si devono introdurre a poco a poco. La distinzione tra il progetto ideologico e il programma politico è importante. Il progetto ideologico è di rottura totale, mentre un programma politico può essere realizzato solo attraverso dei compromessi.

Qual è il ruolo dello stato nel promuovere una politica effettivamente a sostegno della decrescita?

Come già detto, il progetto della decrescita è un progetto politico, ma per come conosciamo lo stato direi che non possiamo avere fiducia in esso. Basta pensare a quello che sta succedendo in Grecia. Il popolo greco ha votato per un programma e si vede imposto un programma totalmente diverso, che non ha scelto. Dobbiamo ricostruire dal basso tutta la politica, e pensare ad un’altra forma di organizzazione sociale, piuttosto che allo stato come stato nazionale. Per fare questo ci vuole un movimento forte, che possa interpellare i politici, e che possa esercitare un contropotere. Penso che dobbiamo resistere, e fare la dissidenza.

Per i paesi in via di sviluppo la crescita è un’aspettativa, non un problema. A questi paesi cosa diciamo? Smettiamo tutti di crescere?

Abbiamo sentito il bisogno di utilizzare il termine “decrescita”, questa parola forte, provocatoria, per liberarci dall’impero dell’economia e per riaprire la strada alla diversità. Con questo non stiamo cercando la decrescita per la decrescita. In realtà tante cose dobbiamo far crescere: la qualità della vita, dell’aria, dell’acqua… tutto quello che è stato distrutto dalla crescita. Non si tratta neppure di dire ai popoli dell’Africa di decrescere: questa sarebbe un’assurdità, loro hanno bisogno di consumare di più per vivere meglio. Si tratta di decrescere noi paesi occidentali, e di molto anche, per permettere a loro di crescere un po’ e di vivere meglio.

La teoria della decrescita usa l’emblema della chiocciola…

Perché la chiocciola ha una lezione da insegnarci. La chiocciola costruisce la delicata architettura del suo guscio aggiungendo una dopo l’altra delle spire sempre più larghe. Poi, a un certo punto, inverte bruscamente la rotta e inizia a costruire delle spirali decrescenti. Una sola spirale più larga darebbe al guscio una dimensione sedici volte più grande, e questo, invece di contribuire al benessere dell’animale, lo graverebbe di un peso eccessivo. Superato il punto limite dell’ingrandimento delle spire, i problemi della crescita eccessiva si moltiplicherebbero in progressione geometrica mentre la capacità biologica della lumaca potrebbe seguire soltanto, nel migliore dei casi, una progressione aritmetica. Lo stesso vale per il pianeta terra e la società della crescita: il divorzio della chiocciola dalla ragione geometrica ci mostra una via per pensare a una società della decrescita. Possibilmente serena e conviviale.

Note


1) Il progetto teorico della decrescita è stato articolato da Serge Latouche nelle otto R: Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Rilocalizzare, Ridistribuire, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare. (Per maggiori approfondimenti vedi S. Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano 2007).
2) Il programma politico della decrescita è stato articolato da Serge Latouche in dieci punti: Ritrovare un’impronta ecologica sostenibile; Ridurre i trasporti; Rilocalizzare le attività; Restaurare l’agricoltura contadina; Ridurre il tempo di lavoro; Stimolare i beni relazionali; Ridurre lo spreco di energia; Ridurre lo spazio pubblicitario; Rivalutare la ricerca tecnico-scientifica; Riappropriarsi della moneta. (Per maggiori approfondimenti vedi S. Latouche, L’invenzione dell’economia, Bollati Boringhieri, Torino 2010).

La teoria della decrescita


La decrescita è un movimento politico, economico e sociale basato su idee ambientaliste, anti-consumistiche e anti-capitaliste, secondo il quale la crescita economica – intesa come accrescimento costante di uno solo degli indicatori economici possibili, il Prodotto Interno Lordo (PIL) – non è sostenibile per l’ecosistema della terra. Questa idea è in completo contrasto con il senso comune politico corrente, che pone l’aumento del livello di vita rappresentato dall’aumento del PIL come obiettivo di ogni società moderna.
I pensatori e gli attivisti della decrescita sostengono che il sovra consumo dei paesi ricchi, basato per lo più su produzioni globalizzate (cioè non locali), sia alla radice delle problematiche ambientali di lungo termine e delle grandi diseguaglianze sociali, e per questo ritengono necessario da un lato ridurre i consumi dei paesi ricchi e dall’altro optare verso un modello di consumo sostenibile, basato sull’impiego di risorse locali e di produzioni realizzate sul posto, cioè a chilometri zero. Si tratta in sostanza di promuovere un nuovo stile di vita, che non comporterebbe però un martirio individuale e la riduzione del benessere. Al contrario, la felicità e il benessere aumenterebbero, proprio perché riducendo i consumi e il tempo dedicato al lavoro si potrebbe dedicare più tempo all’arte, alla musica, alla famiglia, alla cultura e alla comunità.

*Professore emerito di scienze economiche all’Università di Paris-Sud (Francia), specialista dei rapporti economici e culturali Nord-Sud e dell’epistemologia delle scienze sociali, è il principale esponente della teoria della Decrescita


tratto da: Buddismo e Società n° 141

Thomas Hoepker: Il fotogiornalismo è un film

Thomas Hoepker si racconta.
Essere li: questa è la maledizione e la forza del mezzo di comunicazione fotografica. Un cronista può scrivere i suoi pezzi stando dietro le linee, a distanza di sicurezza, raccogliendo informazioni di seconda mano o addirittura consultando un archivio. Un fotografo, invece, non ha scelta: non può far foto da dietro una scrivania; deve essere proprio lì dove le cose succedono. E tutto questo richiede un carattere speciale.

I buoni fotografi raramente sono dei corporativi. A volte sono dei rompiscatole, e spesso degli emotivi. Molti hanno precise idee politiche, hanno un debole per gli oppressi, sono progressisti, e questo perché ogni giorno il loro lavoro li porta dall’altra parte della barricata, tra la miseria, la sofferenza, i soprusi o semplicemente, tra la gente comune. La fotografia è un lavoro pesante, perché piova o splenda il sole, faccia caldo o freddo, devi portarti appresso chili di attrezzatura, e a volte devi star lì, fermo, agli angoli delle strade: insomma, un’attività certamente non aristocratica.

Il fotogiornalismo consiste semplicemente nell’essere curiosi, uscire e vedere quel che succede. Dopo aver fotografato per un pò, magari approfondisci con le letture il soggetto su cui stai lavorando e allora ti rendi conto di quante cose hai perso. Ma all’inizio, è molto utile essere ingenui, naif e, semplicemente, andare.
Io amo molto quella sensazione del primo giorno, quando ti trovi in un Paese dove non sei mai stato prima, esci dal tuo albergo e cominci a guidare tra le montagne. E’ un momento di scoperta ed è molto esaltante. Sei curioso e non hai idea di quel che può accadere.

Il fotogiornalismo è come realizzare un film. Ragioni in termini di velocità e movimento da un piano a un campo lungo su un paesaggio per poi staccare di nuovo su un piano ravvicinato. Se lavori a colori, ragioni su come utilizzare il colore e così, sa hai già un paio di scatti di paesaggi molto verdi, cercherai qualcosa di rosso. Puoi giocare con visioni, sensazioni ed emozioni diverse. Non è che funzioni sempre. A volte torno a casa e il risultato finale è l’opposto di quel che pensavo di ottenere.

Massimo Bontempelli

agenda letteraria il 21 luglio del 1960 muore a Roma lo scrittore Massimo Bontempelli

L’amore mio era vero, sai;
quello no, nessuno l’ha messo
lì fabbricato dentro di me:
sono io, quello, l’amore mio,
sai? Tutto vero l’amore
mio. Il resto no, no:
la donna tua non
vera, è, cosa fa tu della
tua donna fabbricata tutta?
(Minnie la candida)

Sei cantautori italiani che …la chitarra e il potere

Sei cantautori italiani che …la chitarra e il potere

Gualtiero Bertelli: Gran parte delle sue canzoni sono in dialetto; un dialetto colto – e non per sintassi ma piuttosto per ricchezza e duttilità di vocabolario – che risulta paradossalmente comprensibile anche a chi con il veneziano non ha dimestichezza eppure anche nelle composizioni più ‘raffinate’, mai si perde la forte tensione, popolare e di classe, che la voce rauca di Bertelli esprime.

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Gianfranco Manfredi: Si può dire che Manfredi non copi nessuno dei più vecchi ed esperti autori politici (cosa rarissima), ed è difficile collocarlo nei filoni tradizionali del canto militante contemporaneo. Manfredi appartiene a quell’area politica che, nata in radicale e diretta contrapposizione alla sinistra nel suo complesso, era inevitabile rompesse radicalmente anche con retroterra ideologico stesso.

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Giovanna Marini: La Marini è cantante politica. E, anche in questo caso, la sua musica non è un accompagnamento di slogan, non fornisce una visione piatta e generica, o trionfalista e retorica, delle lotte, della società. E’ invece, all’interno di una battaglia politico-culturale decisamente orientata, piena di contraddizioni, di slanci, di analisi più che chi di sintesi, di mediazione più che che di registrazione, di riflessione più che di semplice testimonianza.

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Pino Masi: Non più sostenuto dal lavoro collettivo (Canzoniere Pisano) e soprattutto sopraffatto da una mutata sensibilità (non solo musicale ma più precisamente politico-culturale) del movimento, Pino Masi ha tentato, una strada più corrispondente alla sua personalità, alla sua creatività, al suo modo stesso di cantare. Le ultime composizioni risentono solo superficialmente del clima generale, quello della riflessione sul privato.
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Paolo Pietrangeli: La canzone di Pietrangeli è anche un momento importante della crescita complessiva della canzone politica in Italia. Quel superamento, cioè, del ripiegarsi in intimismo che è proprio della canzonetta (o canzone d’autore) dopo le – relative – sconfitte del post-’68. Crescita complessiva proprio nel legare strettamente musica e testo, e musica-testo (cioè la canzone scritta) alla situazione, al pubblico reale.
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Daniele Sepe: …Per incrementare il Pil siamo costretti a comprare, consumare e sperperare energia. Quindi se non si parte da una vera e radicale rivoluzione anche il discorso ambientale non si può neanche prendere in considerazione. La felicita non è legata agli oggetti di consumo, bisogna cambiare lo stile di vita e sovvertire la politica del profitto legato al consumo.
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da: La chitarra e il potere (Dessì e Pintor)

Sei cantautori italiani che …cantano ancora

Scopertine #19 (451 – 475)

451. Damned – Machine Gun Etiquette – 452. Gary Numan – Pleasure Principle – 453. Specials – Specials (1st Album) – 454. Adam & the Ants – Kings of the Wild Frontier – 455. Dexys Midnight Runners – Searching for the Young Soul Rebels – 456. AC/DC – Back in Black – 457. Cramps – Songs the Lord Taught Us – 458. Dead Kennedys – Fresh Fruit for Rotting Vegetables – 459. Peter Gabriel – Peter Gabriel (III)460. Soft Boys – Underwater Moonlight – 461. The Cure – Seventeen Seconds – 462. Echo & The Bunnymen – Crocodiles – 463. Motörhead – Ace Of Spades – 464. Killing Joke – Killing Joke (1st Album) – 465. Judas Priest – British Steel – 466. Circle Jerks – Group Sex – 467. Talking Heads – Remain in Light 468. Joy Division – Closer – 469. Iron Maiden – Iron Maiden (1st Album) – 470. Undertones – Hypnotised – 471. Jam – Sound Affects – 472. Waits, Tom – Heartattack & Vine – 473. UB40 – Signing Off – 474. Teardrop Explodes – Kilimanjaro – 475. The Specials – More Specials

Robert Gernhardt

il sabato poesia Bianco su bianco

Quando gonfio di pioggia
il grappolo dell’acacia,
candida di fioritura,
si curva a tal punto che l’accoglie
il piatto corimbo del sambuco,
non si sa, in tutto quel biancore,
chi pende e chi sorregge.
Tanto è chiaro: l’intrecciarsi
dei fiori bianchi è il puro
contrario di ogni dire,
interpretare o scrivere,
è pura evidenza. Nulla
da portar felici a casa,
bianco su bianco.

Kingsley’s Crossing: viaggio fotografico nell’immigrazione

Bellissimo ed interessante questo progetto fotografico che porta il titolo di Kingsley’s Crossing. A realizzarlo è stato il fotoreporter francese Olivier Jobard, che ha vissuto la terribile esperienza dei cosiddetti viaggi della speranza.
Il documentario segue in prima persona un ragazzo del Camerun di nome Kingsley, uno dei milioni di immigrati africani che ogni anno compiono la “traversata” dal loro paese natale verso le coste dell’Europa: la terra del benessere.
Jobard ha vissuto le varie vicissitudini, la traversata del deserto e dell’oceano, condividendo i rischi, la disperazione e la paura di non farcela dei suoi compagni di viaggio. Jobard ha poi seguito Kingsley anche nel tentativo di inserimento nel tessuto sociale europeo, dall’euforia dell’“avercela fatta” dei primi giorni fino al disincanto successivo.
Kingsley’s Crossing è uno dei documenti più significativi che trattano questo tema.

[grazie a clickblog per la segnalazione]